Il Tagliamento, per noi friulani, non è soltanto un fiume: è ciò che definisce, come il Cristo giudicante di un timpano gotico, le nostre vite, la nostra nascita “di cà e di là da l’aghe”: da questa o da quella parte dell’acqua. Nati o giunti da fuori – a volte anche da molto lontano – sulle sue scabre, rustiche rive, scrittori e poeti l’hanno amato e cantato, da Ippolito Nievo a Pierpaolo Pasolini e Elio Bartolini, a Esther Kinsky, a Ernest Hemingway, che lo conobbe durante la Grande Guerra e si innamorò delle sue acque, della vita umana e animale che l’abitava e lo faceva, e lo fa ancora, unico. Alcune delle pagine più potenti di Addio alle armi sono ambientate sul nostro fiume.
A suggellare il legame fra vita e acqua, il poeta Nico Naldini volle che le sue ceneri fossero sparse nel Tagliamento, in un matrimonio mistico con la vita che scorre. Perché al Tagliamento un friulano, e chiunque lo ami, non torna: semplicemente non lo lascia mai. Entra a far parte del suo genoma, del suo pensiero, dei suoi desideri. Il Tagliamento è il modo in cui un friulano entra nell’eternità.
Il Tagliamento ha una sua voce, che tutti possiamo ascoltare e alcuni hanno voluto riportare, in musica o su una pagina. Una voce che non avrà mai fine, fatta dell’acqua che scorre e delle risate dei bambini che giocano sulle sue rive, e ne godono, e apprendono ridendo la felicità della polvere e dell’erba, delle nuvole nel vento.